testimonianze + 2003, Maggio 27-29, Gerardo - Premio Città di Ferrara
Ringrazio, con affettuosa riconoscenza, le
amiche e gli amici dell'Associazione "Gruppo Ferrara-Terzo Mondo" e
dell'Amministrazione Comunale per il premio “Città di Ferrara” che accetto molto
volentieri, non per me, ma per le mie maestre e i miei maestri di vita, le
ragazze ed i ragazzi di strada del Guatemala e per tutte le persone che, animate
da una profonda amicizia li appoggiano nei loro sforzi per difendere i loro
diritti con la creazione di un movimento autogestito delle e dei giovani della
strada.
Le bambine, i bambini, le ed i giovani di
strada, persone alle quali sono negati tutti i diritti umani, a cominciare dal
diritto a vivere, sono la metafora della società mondiale d’oggi nell’era della
globalizzazione neoliberale, dove trionfa il diritto della forza brutale del
mercato e del profitto. In questa dittatura mondiale del denaro, i diritti
delle persone e dei popoli sono sistematicamente calpestati anche se per
creare consenso si proclama di agire contro il terrorismo in favore della
libertà e della democrazia. La guerra contro l’Irak e l’occupazione
militare di questo paese manifestano la natura del mondo dominato dall’impero
delle multinazionali del petrolio, degli armamenti, delle finanze, che impone,
con la forza brutale delle armi, se lo ritiene necessario, il suo dominio sul
pianeta. Ma già prima delle guerre guerreggiate contro la Jugoslavia,
l’Afganistan, l’Irak, era iniziata la terza guerra mondiale, la più
cruenta di tutti i tempi, una guerra economica condotta con ingenti
furti, rapine, spogliazioni delle risorse di masse infinite di persone, di
interi paesi e continenti. Minoranze, sempre più feroci, di ricchi che diventano
sempre più ricchi con la miseria crescente delle masse popolari, di categorie
sociali come quella dei giovani e d’interi continenti. Già diceva Ambrogio da
Milano, nel quarto secolo della nostra era, che all’origine d’ogni grande
fortuna c’è sangue e rapine. Anche la corruzione, aggiunse più
recentemente, un tribunale della stessa città.
Le bambine, i bambini, le ed i giovani di
strada sono, tuttavia, anche la metafora di un mondo diverso possibile,
perché sono ribelli, devianti, resistono, rifiutano i modelli dominanti, danno
più importanza all’amicizia e alla condivisione che ai beni materiali.
In America Latina, le ragazze ed i ragazzi
di strada sono figli e figlie dell’invasione spagnola, del capitalismo che
cominciava a svilupparsi con barbari etnocidi e rapine a misura di tutto un
continente. Nella comunità Maya, non esistevano bambini di strada, gli orfani
erano accolti in altre famiglie. I bambini di strada nascono in una società che
da più importanza al denaro, al potere, questo cancro dell’’umanità, che alle
persone umane.
In Guatemala, il loro numero è cresciuto a
dismisura in seguito al genocidio di più di 200.000 persone, perpetrato negli
anni ’80, dall’esercito, e altre bande armate, durante le sanguinose dittature
dei generali Lucas García ed Efraim Rios Montt. Questo efferato genocidio
fu appoggiato dal governo degli Stati Uniti: la CIA, il pentagono, hanno
addestrato, finanziato e armato bande di assassini, di torturatori e di
stupratori. Questa guerra contro i poveri ha spinto quasi un milione d’indigeni
e di contadini meticci a cercare un rifugio nelle città, particolarmente nella
capitale. Hanno costruito decine di baraccopoli che circondano la metropoli con
una cintura di miseria o s’insinuano fino al centro nei burroni colmi di
casupole che si aggrappano anche ai pendii malfermi. Le piogge torrenziali
frequenti durante l’inverno, seppelliscono sotto il fango decine di capanne e di
poveri. Il terremoto del ’76 cancellò migliaia di persone nei burroni.
La miseria crescente, provocata
dall’economia neo-liberale ha accentuato l’esodo dalla campagna alla città e
provocato il sorgere d’altre decine di baraccopoli. Per
fuggire questi luoghi di violenza e di noia, centinaia di ragazze e ragazzi
scelgono di vivere nella strada.
Il caso, che
modella il corso delle esistenze umana, mi ha regalato la fortuna
di incontrare queste ragazze e questi ragazzi nel ’93 e quest’evento ha
sconvolto la mia vita, mi ha fatto capire, come diceva uno dei primi aviatori,
il francese Guynemer, che non si è dato nulla fino a quando non si è dato tutto,
che le scelte devono essere radicali e non a metà., che nella vita solo conta l’
amicizia, l’amore universale, che, se è vero, privilegia le più deboli, le più
escluse delle persone umane.
Mi ero formato, prima di conoscerli,
un’idea dei bambini di strada, vedendo documentari, leggendo pubblicazioni che
fanno notare soprattutto gli aspetti negativi della loro vita: fame,
freddo, malattie, droghe, umiliazioni, dolore, violenza, stupri, morte,
odio e sterminio da parte di poliziotti, guardie private, militari,
paramilitari, squadroni della morte. Ma presentarli solo come
vittime delle ingiustizie sociali non permette di capire la realtà della
loro esistenza e di rispettare la loro dignità: sono persone dotate di
un’intensa voglia di vivere che riescono a sopravvivere in un mondo nemico
senza soffocare i sentimenti, le emozioni, il senso della
propria dignità e una sorprendente vita interiore. Una
visione pietistica favorisce iniziative assistenzialistiche che non rispettano
la loro autonomia, le loro capacità, i loro progetti, la loro possibilità
di partecipare alla costruzione di un mondo più umano.
Lascio la parola ad una ragazza che
molto meglio di me può fare capire chi sono le ragazze ed i ragazzi di strada:
“Io stavo con mio papà e la mia
mamma: la famiglia era integrata, non mancava nulla in casa perché
c'era molto amore, eravamo tutti uniti e studiavamo... Ho fatto i due
primi anni della scuola elementare... Poi mio papà morì e mia mamma
ebbe un colpo, si ammalò, non parla più, le sue mani sono storte e non può
più lavorare in casa... Mia madre non poteva più farci frequentare
la scuola e ci hanno messo in pensionato statale e
lì ho fatto la terza elementare.
Ebbi dei problemi con quattro ragazzi e
siccome già da un anno mia sorella andava fuori e sapevo dove stava, sono
andata a ritrovarla al ponte (dove le
ragazze aspettano i clienti)... Di sera siamo andate da un
uomo che vendeva colla, ci ha lasciato entrare in una camera e abbiamo
cominciato a inalare colla.
Poi mi sono messa a bere, a fumare, ad
andare al ponte... Degli amici m’invitarono a prendere la
coca... Mi è subito piaciuta e ho continuato a prendere coca, colla,
solventi, a fumare, a bere. Poi mi sono fatta con la marijuana, gli
psicofarmaci, cocktail di birra, alcol e psicofarmaci.
Quando ho cominciato inalare la
colla, ho avuto allucinazioni, che stavo uccidendo un'amica,
che lei stava annegando e mi sono detta che non avrei più inalato
colla... Un'altra volta che ero tornata a casa dove c'era mio
papà che non era morto... Durante una notte ho visto uomini
neri che avevano una cravatta rossa e sentivo che questa
allucinazione mi acchiappava e uccideva... C'era una
donna nuda in un serpente alla porta di una camera di una
pensione, c'ero un buco in mezzo al serpente e attraverso il buco vedevo
una farfalla che usciva e si ingrandiva, poi un verme, e dal verme un
cuore... vedevo molte figure che uscivano... Una volta dal
ponte vedevo che la strada si era allargata e che le macchine
venivano nel senso contrario... Una volta avevo la custodia una bambina
perché sua madre era stata arrestata, vidi nel cielo
lettere grandi, dorate, che dicevano "Baby" e in mezzo il mio nome e
brillavano, poi vidi un cuore grande rosato e celeste, con un bimbo
accanto e in mezzo diceva Carlos, così si chiamava mio padre...
Bevendo mi sentivo stordita e mi
dimenticavo dei problemi... la sigaretta calmava i miei nervi,
con la sigaretta, l'alcool e la birra dimenticavo i miei problemi ma
diventavo triste, mi mettevo a piangere... Anche con la
marijuana mi dimenticavo i problemi, mi mettevo a ridere, mi dava
fame e sonno ; con la coca se avevo sonno mi svegliava...
Nei gruppi dei ragazzi o delle
ragazze non ci sono capi... Molti ragazzi e ragazze si uniscono e
per ciò i gruppi danno l'impressione d’essere bene integrati, ma non
lo sono... Ci sono gruppi che sono nemici, che s ifanno la guerra tra di
loro. Quelli dello stesso gruppo si aiutano, se uno ha rubato e un altro
non è riuscito a farlo, gli danno soldi... Ci sono ragazzi che si
comportano bene con le ragazze, altri no, ma la maggioranza c’invita a mangiare,
a bere, a molte cose... Prima nei gruppi davano una pillola alle ragazze nuove
che arrivavano e tutti abusavano sessualmente di lei, però ora è
cambiato, il gruppo si è un po' calmato perché molti sono in
carcere, altri non stanno più nella strada, altri ancora sono morti,...
non è più come prima...
Al ponte vengono molti uomini e le ragazze
dicono loro quanto vogliono per vendere il proprio corpo... (da 5 a 8.000 lire).
Io avevo dodici anni la prima volta che sono andata al ponte... Gli uomini
vanno con le ragazze di qualsiasi età come quando uno vuole (comprare) una
palla o qualsiasi altra cosa, sceglie il colore e cerca l’oggetto che gli
piace... Così sono gli uomini!... Vengono, chiedono quanto e cercano
la ragazza che gli piace... Quando arriva una bambina buona,
cicciottella, nuova per fare questo, la scelgono molto spesso
e lasciano le altre da parte perché sono già stati molte volte con
loro, e quando si stancano di questa bambina, ricominciano
con un'altra... E' pericoloso per le malattie veneree come l'AIDS. Nella
casa famiglia ci mettono in guardia, ci fanno l'esame medico ogni
mercoledì, ci danno preservativi... Se uno mi diceva che non voleva
mettere il preservativo, che non gli piaceva, io gli inventavo
delle storie, gli dicevo che si sarebbe beccato un malattia, allora
prendevano paura e lo mettevano... C'era un gringo che si metteva fino a
due preservativi!...
E' realmente un abuso che questi uomini
vanno con bambine piccole, ci sono uomini che sono sposati, che
hanno figli e figlie e mi mettevo a pensare... non che lo
desideravo... che una delle loro figlie avrebbe potuto farlo e che uno dei
loro amici avrebbe potuto abusare di lei... Non penso sia corretto.
Sono stata una volta sola al
carcere delle minorenni e quattro volte alla zona 18, al
carcere delle maggiorenni Nel carcere ci danno solo fagioli crudi, pane
secco e caffè, si dorme sul cemento... Vengono donne di
tutti i tipi, dei bordelli, lesbiche, senza documenti d’identità... Poi
quando stavo lì, nella zona 18, veniva una signora, padrona di quattro
bordelli, a cercare ragazze, perché ci sono ragazze che hanno
una brutta disperazione, come anche noi. Lei diceva a loro che
conveniva andare a lavorare con lei e molte finivano nei bordelli e costava
molto andarsene... Una volta questa signora ci chiamò e le abbiamo detto di
no...
Una volta i poliziotti ci presero alle
dieci di notte nella pensione dove affittavamo una camera e ci portarono lontano
nella campagna... e mi dissero : "Che preferisci, andare nel carcere
o fare l'amore con me?" "Preferisco essere arrestata e non che lei
faccia qualcosa con il mio corpo!" e lui "Se vado con te in un
bordello, il tuo corpo non vale niente, il corpo di una
puttana vale più del tuo, tu non vali niente, neanche un
centesimo". Io mi misi a piangere perché mi aveva ferito. Mi prese i
dati e mi disse : "Via!... fuori!... Conto fino a tre e non vi voglio più
vedere qui se no vi uccido" e puntò verso di noi la sua
rivoltella... Mi fanno schifo i poliziotti quando mi fanno
questa proposta... Quando mi prostituivo, molti uomini mi facevano schifo,
allora pensavo che lo facevo solo per i soldi, non perché lo volevo o mi
piaceva, alcuni mi chiedevano un bacio e io non lo davo e mi mettevo in
bocca il sacchetto di colla e non li lasciavo toccare tutto il mio corpo,
mi toglievo solo la gonna, il resto lo coprivo e non li
lasciavo toccarmi, quando mi toccavano mi faceva schifo sentire le
loro mani grossolane, bruttissime sul mio corpo
Molte volte pensavo che non ero
importante per nessuno, spesso mi sentivo sola e mi mettevo a piangere...
pensavo di non valere nulla... dicevo che volevo morire, che non volevo stare
così, che la gente non mi vuole bene... La gente ci tratta male, fugge da
noi, ha paura di noi... A volte ci sono bambini che solo li guardano e
loro li cacciano via, persino gli uomini con i quali si hanno relazioni
sessuali hanno paura di essere rubati... La direttrice e gli
educatori si sono messo a parlare con me, mi hanno detto che io sono molto
importante, mi sono reso conto che mi vogliono bene non perché me lo dicono ma
per i fatti, perché mi hanno portato qui, parlano con me, mi
consigliano...
Prima pensavo che stando nella strada sarei
stata molto importante, che avrei fatto più che gli altri ed ero
orgogliosa di essere della strada... Però con il tempo ti viene voglia di
cambiare certe cose e non lo puoi, diventi triste... Io non mi sento orgogliosa
di essere stata nella strada, sarei orgogliosa se fossi uscita dalla
strada.
Se rimango qui, nella casa, posso ottenere
molte cose però a causa della droga penso che mi è difficile; è duro sperarsi
dalla droga, ma è possibile. Nella strada non sei niente per la gente, qui
puoi studiare, sapere qualcosa, la gente ti considera come una persona che
vale... Credo che rimanendo qui posso cambiare, riuscire a diventare una
persona di grande utilità. Con il mio comportamento penso che mia
sorella possa cambiare, mi fa male che mentre io sto cambiando un poco,
mia sorella rimane uguale, le droghe potrebbero ucciderla... Qui ho dei
problemi, piccoli, mi guardano male e già per me questo è un problema e
penso di andarmene. Ma allora penso che devo restare qui per mia sorella,
la devo consigliare e dirle di cambiare, però se la consiglio e sono
uguale a lei non possiamo cambiare né l'una né l'altra... Non le
permettono di venire qui né di telefonare, ma ci scriviamo lettere e così
siamo in contatto... Le dico che le voglio bene e cose che la incoraggiano...
(Vuoi che le dica qualcosa da parte tua?).
Vorrei dirle di pensare molto bene alle cose che sta facendo, speriamo che
rifletta prima che sia troppo tardi, perché adesso c'è una soluzione che dopo
non avrà più... Voglio dirle di pensare bene alle cose prima di
farle, di non essere così avventata,... Non vorrei che ci
fosse in lei rancore o amarezza, ma che abbia amore, che possa
volersi bene un poco e che pensi che può cambiare.
Ho raccolto nei mesi d’aprile e maggio del
‘93 le storie di vita cinquanta nove ragazze e ragazzi di strada, ho
condiviso tempi della loro vita nella strada e in case famiglia e ho constatato
che non riuscivano a rimanere a lungo nelle istituzioni, che non
sopportavano di essere sottoposti alle regole degli adulti, a non decidere della
propria vita, ad essere separati dalla loro compagna o compagno e dai loro
figli… Avevo dubbi sulla metodologia educativa autoritaria delle istituzioni,
sul fatto che non promuovevano la partecipazione dei giovani alle decisioni, che
non incoraggiano lo spirito critico e l’impegno sociale e politico contro le
cause della povertà, che non appoggiavano le ragazze e ragazzi che potevano
uscire dalla strada senza un tempo di reclusione nelle istituzioni. M’illudevo
che era possibile fare cambiare qualche istituzione con la quale avevo iniziato
a lavorare durante i due tre soggiorni che facevo in Guatemala ogni anno…
Senza rendermene chiaramente conto
all’inizio, un progetto alternativo cominciava a formarsi nelle relazioni
d’amicizia con le ragazze ed i ragazzi di strada, ascoltando le loro esigenze,
tentando di appoggiarli nei loro sforzi per realizzare i loro sogni. In
gennaio del ’94, una ragazza firmò il primo contratto in cui s’impegnava ad
uscire dalla strada e della droga, a dare le cure necessarie a suo figlio in
cambio di un contributo per imparare il mestiere di parrucchiera e vivere in
modo dignitoso. Un amico italiano, parroco in un quartiere popolare, accettò di
darle l’appoggio morale e psicologico in questo duro processo di cambio di vita.
Oggi lavora con noi come educatrice di strada.
In aprile dello stesso anno, la tredicenne
di cui vi ho letto la storia, mi chiese di aiutarla ad uscire dalla strada senza
entrare in una casa famiglia perché era incinta e voleva un’altra vita per
sua figlia. Ero rimasto particolarmente colpito dal racconto di questa
ragazzina, dalla sua capacità d’analisi, dalla delicatezza dei suoi sentimenti e
alla fine dell’’intervista le dissi: “Tu hai una testa per studiare
all’università e se vuoi ti aiuterò a studiare!”. Mi chiesi l’aiuto per altri
scopi, più urgenti e disinteressati. Oggi si sta preparando ad entrare
all’università.
Nello stesso anno e in quello successivo,
altre ragazze firmarono un contratto, chi per studiare l’inglese, o il mestiere
di parrucchiera, o la chitarra, chi per venire a formarsi in Italia. Oggi tutte
vivono fuori della strada dopo un percorso difficile, tortuoso, con regressioni,
“cadute” dicono loro, con soggiorni per alcune nel carcere, per una in bordelli
– luoghi in cui continuavamo a incontrale, solo per stare loro vicini, senza
giudicarle o interromper la relazione di fiducia con loro, rispettando le loro
scelte. Le ragazze di strada hanno sofferto nell’infanzia abbandoni,
violenze, stupri, sono ferite nel corpo e nell’anima, spesso sono insicure, non
si stimano, hanno interiorizzato i pregiudizi della gente comune che li vede
come immondizia. Non è facile per loro rivendicare i loro diritti di persone
umane. Insieme, abbiamo capito che lasciate sole, era troppo difficile cambiare
vita, che bisognava organizzare incontri tra loro, formare un gruppo
d’autoaiuto. Così è nato il gruppo delle Quetzalitas, nome che abbiamo scelto
perché il quetzal, splendido uccello tropicale con il petto rosso ed una
lunghissima coda verde, è simbolo di libertà. Come le ragazze e ragazzi di
strada non sopravvive in gabbia.
Questo gruppo rispondeva alle esigenze di
un numero molto ristretto di ragazze, quelle che volevano uscire dalla strada.
Cosa fare per tutte le altre e per i ragazzi che vivevano in strada, che
incontravo ogni giorno? Con le ragazze, meno numerose dei loro compagni, si
organizzavano attività tutte le domeniche, giorno di vacanze per le
istituzioni. Parlando con le ragazze ed i ragazzi, abbiamo capito poco
alla volta che bisognava creare nella strada, un’organizzazione autogestita che
fosse capace di difendere i loro diritti, migliorare la qualità della loro vita
e anche appoggiare quelle e quelli che volevano reinserirsi nella società. In
un’assemblea tenuta nel ‘95 con un’ottantina di ragazze e ragazzi di vari
gruppi di strada, la proposta di formare un’associazione autogestita fu presa
all’unanimità. Fu anche discusso il tipo d’organizzazione articolata in
assemblee di gruppi, assemblee generali e coordinamento formato da delegati di
ogni gruppo. Si tracciò anche un programma di massima per rispondere alle
esigenze vitali della popolazione della strada.
Era un bel sogno. Un sogno folle ed
insensato, ci dissero i responsabili delle associazioni di bambini di
strada che da anni lavoravano nel paese e rifiutarono la proposta di
partecipare all’elaborazione e realizzazione di questo progetto, a giusta
ragione d’altronde poiché era antitetico alla loro prassi e alle loro teorie e
modi di vedere le ragazze e ragazzi di strada.
Realizzare, almeno in parte, questo sogno
ha richiesto molti anni. Era necessario partire dalla la vita in strada
con i suoi valori – l’amicizia e la condivisione -, senza i quali è impossibile
sopravvivere in un mondo ostile. Bisognava rafforzare questi valori e
accompagnarli sempre più avanti sui sentieri dell’autogestione,
dell’autodeterminazione, dell’amicizia liberatrice. Non regalare nulla perché
l’elemosina umilia, non aiuta a liberarsi. Tutto si conquista con il lavoro, lo
sforzo personale e comunitario.
Fu difficile incontrare e formare
educatrici ed educatori – noi li chiamiamo accompagnatrici ed accompagnatori –
convinti che le ragazze e ragazzi di strada sono capaci di gestire un loro
movimento e preparati per partecipare questa avventura.
Dopo anni di sforzi, di riuscite e
sconfitte, di speranze e scoraggiamenti, siamo giunti, in agosto scorso,
dopo avere superato le ultime resistenze degli adulti, alla fase della gestione
comune nella quale tutte le decisioni sono prese non più dai soli adulti ma
assieme ai giovani, in assemblee generali o di settore. L’assemblea ha eletto un
coordinamento di sette ragazze e ragazzi incaricati di attuare con gli educatori
le decisioni dell’assemblea e di guidare l’attuazione della programmazione
decisa da tutti. In agosto del prossimo anno dovremmo giungere alla fase della
totale autogestione nella quale tutte le decisioni saranno prese dalle
ragazze e dai ragazzi mentre gli adulti avranno solo un ruolo di consiglieri e
di tecnici.
Partendo dalla prassi, da inchieste e
ricerche, stiamo elaborando un metodo educativo centrato sulle singole persone e
sull’amicizia liberatrice. Il movimento si costruisce nella strada con i
numerosi gruppi di ragazze e ragazzi che vi abitano. Con loro si decide cosa
fare per rispondere alle loro necessità vitali: pulire insieme il luogo dove
vivono, curare l’igiene personale, far fronte alle emergenze, alle
ondate di freddo, agli attacchi degli squadroni della morte o di sette
religiose, alle retate della polizia. E, nel dialogo di amicizia, si scoprono i
valori, gli obiettivi, il modo di stare insieme.
In una seconda tappa, le ragazze e ragazzi
che decidono di fare parte del movimento entrano nella casa dell’amicizia.
Firmano un contratto che chiarisce i loro diritti (uso delle docce e
lavatoi, pasti, cure per la salute fisica e psichica, assistenza
legale, ecc.) e i loro doveri (rispettare le norme della
convivenza elaborate da loro stessi, impegnarsi nei corsi d’alfabetizzazione,
d’istruzione, di formazione professionale, partecipare ai laboratori
d’espressione artistica e di produzione artigianale, farsi carico di loro stessi
e delle loro compagne e compagni di strada). La ragazza o il ragazzo,
quando diventa capace di assumere la responsabilità degli altri., diventa socia
o socio a pieno titolo del movimento e può essere eletto nel coordinamento.
Le ragazze che escono dalla strada possono
fare parte del gruppo delle quetzalitas. Istruzione, formazione professionale,
ricerca di un lavoro, di un alloggio e soprattutto luoghi e momenti d’aiuto
reciproco, condivisone del vissuto, rinforzare ciò che è fragile: ecco gli
obiettivi di questo gruppo, uscito dalla strada. E che ritorna nella strada per
condividere l’amicizia con chi vi è rimasto. Un obiettivo importante di questo
gruppo è di formare le giovani madri ad educare le loro figlie ed i loro figli
per evitare loro le esperienze che favoriscono la scelta della strada. Con
grande saggezza mi diceva una quattordicenne “non si esce mai totalmente dalla
strada” ed è facile di ritornarvi, è più facile vivere nella strada che fuori.
E’ con i figli che possiamo sperare di spezzare il circolo vizioso che riporta
alla strada.
I ragazzi usciti dalla strada hanno anche
loro il loro gruppo che hanno chiamato “Nuova Generazione”.
Risultati sono stati raggiunti lungo gli
anni. Molti studiano: il nostro sogno è il diploma di scuola media per tutte le
ragazze e ragazzi di strada, il prossimo anno, tre di loro dovrebbero iscriversi
all’università, molti seguono corso di formazione professionale, dodici seguono
un corso parauniversitario per educatori popolari. I gruppi di strada sono
meglio organizzati. Stiamo tentando di organizzare attività produttive per
migliorare le difficili condizioni di vita delle singole persone e assicurare e
qualche risorse al movimento.
Nella strada, tuttavia, nulla è acquisito
una volta per sempre, tutto si deve riconquistare giorno per giorno. Basta una
retata della polizia o di una setta religiosa, la spedizione dei squadroni della
morte, assassini o stupri, soggiorni in carcere, una malattia che brucia i pochi
soldi che permettono di sopravvivere alla giornata, per distruggere mesi di
sforzi. Il richiamo della droga – non si può sopravvivere in strada senza droga
- , l’insicurezza e la mancanza di fiducia in se, difficoltà nei rapporti
con gli altri, mancanza di risorse sufficienti per affittare una camera e
assicurarne ai figli l’alimentazione sufficiente, possono ricacciare alla strada
che ne è uscito da mesi. Chi è stato eletto ad un posto di responsabilità, può
scoraggiarsi ed abbandonare l’incarico. Parecchi tentano di uscire dalla
miseria e dalla disperazione cercando di emigrare clandestinamente negli Stati
Uniti. Altri scompaiano in pochi mesi colpiti dall’AIDS, per loro non ci sono
rimedi perché le multinazionali farmaceutiche prosperano con il sangue e la
morte dei poveri. Si vive la strada come si vive la vita: nella precarietà e
nella transitorietà costanti. La strada è lo specchio delle nostre vita, siamo
molto più simili alle ragazze e ragazzi di strada che pensiamo.
Il movimento ha potuto svilupparsi in
Guatemala grazie alla solidarietà di persone e gruppi d’Italia, ora coordinati
in una rete d’amicizia con le ragazze e ragazzi di strada… Una rete nata
assieme al gruppo delle quetzalitas dall’iniziativa di un’amica che ha proposta
ad altre persone di assumere le spese di una borsa di studio o di formazione
professionale. Grazie ad un’organizzazione non governativa italiana, Terra
Nuova, abbiamo ricevuto una sovvenzione dell’’Unione Europea che ci ha permesso
i comprare una casa e molte attrezzature. Ormai sta per finire questa
sovvenzione ed è impossibile nelle circostanze attuali ricevere altre
sovvenzioni importanti. Il governo italiano ha scelto la cooperazione militare e
delle imprese e bloccato le sovvenzioni alle organizzazioni non governative.
Meglio così: la nostra Rete dovrà aumentare la generosità e la creatività per
assicurare al movimento i dodicimila euro di cui ha bisogno ogni mese, il doppio
di ciò che riuscivamo a raccogliere ogni anno. La nostra Rete è formata da
persone non ricche, impegnate spesso nel lavoro sociale e solidario, da gruppi
di giovani, a volte da giovani che hanno fatto l’esperienza della droga e sanno
cosa è la vita di strada. Tutto il lavoro si svolge in modo volontario. La
nostra sede, il nostro computer, ci sono messia a disposizione da un socio. Non
vogliamo l’elemosina degli oppressori, il movimento non ha bisogno di grandi
risorse ma non può vivere l’amicizia tra le persone che cercano la
giustizia e condividono ciò che hanno, ciò che sono con gli altri..
Dal ’94, gruppi di studentesse e studenti
universitari vanno in Guatemala durante le vacanze estive per condividere la
vita delle ragazze e ragazzi di strada. Una decina di studentesse e studenti
in psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma hanno svolto la
loro tesi di laurea su vari aspetti della vita in strada. Altri fanno il loro
tirocinio di sei mesi con il movimento.
Nella solidarietà non è quindi il denaro il
più importante, ma l’amicizia di persone che in Italia o in altri paesi sono
impegnate per costruire una società più giusta senza bambini affamati ed
umiliati nella loro dignità di persona. Questa amicizia con le ragazze e ragazzi
di strada permette a molte persone di ritrovare il senso della propria vita ed i
valori essenziali della propria umanità.
Le strade del Terzo Mondo attraversano
il nostro continente. Da noi anche, le bambine ed i bambini sono maltrattati,
violentati, assassinati mentre la miseria e la disperazione neo-liberiste
aumentano di continuo.
L’alternativa al progetto di morte della
globalizzazione neoliberale, alla morte annunciata dell’umanità e della natura e
dell’umano nell’uomo, non può che essere un progetto globale di amicizia fondato
sul rispetto di tutte le persone umane, di tutte le culture e di tutti i popoli,
e anche della terra, la nostra madre terra umiliata e deturpata dai padroni del
mondo. Il movimento delle ragazze e ragazzi di strada in Guatemala, la
nostra Rete in Italia, si riconoscono nel vasto movimento mondiale, formato
soprattutto da giovani, che si oppone alla barbarie e alle guerre dell’economia
neoliberale globalizzata. La storia non è finita, un altro mondo è possibile e
lo possiamo costruire dal basso. E questo spetta soprattutto a voi, giovani. Non
siete fatti per la mediocrità, per il consumismo, per il carrierismo. A voi
giovani di oggi la sfida, di resistere, nuovi partigiani, alla dittatura
mondiale del denaro e di inventare un mondo nuovo, un mondo d’amicizia, in
unione con le ed i giovani di tutti i popoli della terra.
Gerardo