testimonianze + 2002, Agosto Marianna

Estate 2002: Racconti di un viaggio in Centro America: emozioni, speranze, alternative..

Sono contenta di aver fatto questo viaggio. Mi ha permesso di capire cose che diversamente non avrei potuto comprendere. Io mi ritengo ricca quanto Agnelli o Berlusconi:  questa è la prima cosa che ho imparato.

Tante volte Nico e Angelina mi hanno spiegato a parole, con diapositive o video quello che succedeva in Città del Guatemala, ma essere lì è completamente diverso. Non avrei mai potuto immaginare in che condizioni vivono i ragazzi di strada, non avrei immaginato mai lo squallore che li circonda.

Non riesco a trasmetterlo e me ne dispiace, perché solo così si può capire la fortuna che abbiamo noi, tutti noi. Lì ho provato gli odori, ho provato a calpestare il fango nei tanti giorni di pioggia dove sono appoggiati materassi fradici di acqua e sporchi, con sopra un tetto improvvisato da pezzi di plastica o per chi è più fortunato da una muratura spaccata in più punti che rischia di crollare da un momento all'altro. Dove ho visto famiglie di topi convivere con i ragazzi, dove mi sono fatta il segno della croce prima di passare sopra un cumulo di erba e fango dove centinaia di mosche ronzavano, sperando di non calpestare la carogna di cane, ormai putrefatta, che il giorno prima, Oscar e Michele mi raccontavano di aver visto.

E in queste case di fortuna trovi ragazzi e bambini che formano un gruppo, la loro unica famiglia, tremanti dal freddo e dall'umidità che perfora le ossa, coperti dagli unici indumenti in loro possesso, sporchi, fradici e logori. Con una mano sempre chiusa che nasconde il segreto per poter vivere in quello squallore: il solvente, che avidamente si contendono, di cui hanno una necessità estrema come se gli mancasse l'aria senza,

Eppure, anche se in mezzo alla discarica e agli escrementi, ho visto una immensa voglia di vivere, di amare e di essere amati, da spezzarti il cuore. I loro occhi anche se offuscati dal solvente erano comunque vivi, si vedeva che avevano voglia di essere lì con te, avevano voglia di prendere tutto quello che in quel momento potevi dargli, e l'unica cosa che avevamo in quel momento era un po' d'amore e la nostra tranquillità nel trattarli come persone, con dignità, senza far finta che loro non esistono, senza aver schifo nell'accarezzarli o toccarli.

Sì, perché per loro il contatto con gli estranei è di violenza, una violenza gratuita che li distrugge psicologicamente e fisicamente, tutti abbiamo bisogno di gesti gentili, specialmente nei momenti difficili, e loro quotidianamente vivono momenti difficili, perché loro hanno solo dei momenti di felicità nella loro breve vita.

Quando siamo andati con Mayra a trovare il primo gruppo di ragazzi di strada, appena arrivati, un bambino di circa 8 anni le è corso incontro piangendo e mi si è stretto il cuore perché mi sono chiesta: chissà cosa è successo questa notte, chissà se lo hanno picchiato, violentato o altro, e mi sono sentita impotente e angosciata, poi ho visto lo stesso bambino giocare al gioco della memoria, doveva scoprire le carte  cercando da spessa figura, e lì ho visto i suoi occhi felici.

In quel momento era veramente felice, mentre era lì insieme ai suoi compagni di sventura (la sua unica famiglia) e mi sono detta: gli basta veramente poco per essere felice, noi quel poco possiamo darglielo se lui lo vuole. Poi siamo andati a trovare un altro gruppo di ragazzi in un luogo più squallido e lì ho incontrato una ragazza con degli occhi è un sorriso stupendo, era solare, l'unico raggio di sole in quella mattina così piovosa e fredda. Ha cercato di ospitarci nella sua casa: un materasso coperto da dei nylon.

C'era fango dappertutto e con la mano cercava di pulire e riordinare per farci sedere nel punto più pulito del suo materasso perché non voleva che ci  bagnassimo o sporcassimo e in quel gesto o letto la sua grandezza d'animo. Questa ragazza ci ha chiesto quando saremmo ritornati da lei e poi ha aggiunto che probabilmente non l'avremmo più rivista  perché presto sarebbe morta. E questo ti fa pensare che allora è tutto inutile, il piccolo sforzo che facciamo per loro.

Invece no. Finalmente ho visto la casa che finanziamo, ho visto come viene gestita, chi ci passa le giornate per fare in modo che tutto funzioni. Ho visto ragazzi e ragazze uscite dalla strada, che cercano di avere una vita dignitosa, che hanno la loro casa, puliti, senza solvente in corpo, volenterosi di aiutarsi e aiutare altri ragazzi che cercano di uscire dallo squallore, e la cosa che mi ha entusiasmata è che ci riescono,ci riescono veramente, aiutandosi tra di loro.

Una delle immagini che è ancora scolpita nella mia mente riguarda due bambini, forse due fratelli, che camminavano per strada infreddoliti abbracciandoci forte. Il loro modo di abbracciarsi era particolare, era come se avevano paura di perdersi, era come se non volevano che niente e nessuno li dividesse,  come se l'unica cosa che li tenesse in vita era l'amore che li legava.

Erano serrati, non si staccavano mai e allora ho stretto forte la mano di Igor cercando di non piangere, ma non ci riuscivo e continuavo a guardarli pensando che tutti dobbiamo poter vivere una vita dignitosa, non si chiede il lusso, non si chiede tutto, si chiede solo l'opportunità per sempre più bambini e ragazzi di poter vivere e non sopravvivere. Spero che questo progetto continui perché non è un sogno ma realtà.

Noi da qui possiamo fare veramente tanto. Adesso ne ho la certezza, i miei occhi e il mio cuore ne hanno la certezza, perché sono pieni di tutti i ragazzi e bambini che ho incontrato a Città del Guatemala. Spero che ci possa essere un giorno in cui quei due fratelli possano staccarsi da quell'abbraccio di terrore e tenersi per mano, con la tranquillità che abbiamo noi qui.