testimonianze + 2002, Dicembre Emanuele

 

IL MOVIMENTO NELLA TERRA DI SANDINO

 

Nella notte crivellata di silenzio e miseria, Managua nella sua dolcezza ci accoglie. Semplice paesaggio di linee essenziali, geografia di laghi e vulcani, Managua vestita d'alberi e fiori é una cittá femminile dall'accento popolare. I suoi carretti tirati da cavalli si scontrano con le futuristiche architetture degli edifici della Texaco o della Mercedes che si erigono bruscamente, feroci monumenti del capitale finanziario che di colpo materializzano la parola "imperialismo".

Tredici, fortunatamente non superstiziosi, partiti dal Guatemala, i "12 apostoli piú Gesú", come qualcuno dirà in seguito, attraversano mezzo Centro America in camionetta per arrivare nella terra di Sandino e Ruben Darío, missione del viaggio: viaggiare. Viaggiare per le strade e le città nicaraguensi conoscendo altri giovani emarginati che si organizzano liberando da dentro loro stessi, quella grande forza che attraverso il proprio cammino personale, quel viaggio interiore conduce alla liberazione individuale e collettiva. Ognuno alla sua maniera, ognuna secondo le sue possibilità.

I ragazzi e le ragazze dell'equipo coordinatore, eletti ad Agosto dai loro compagni e compagne della strada rappresentano in Nicaragua il Movimiento de Jóvenes de la Calle e, di fatto, le strade del Guatemala. Presentano il loro progetto, ascoltano le altre esperienze. Si rendono conto che non sono soli, che la loro sofferenza non é l'unica, la loro emarginazione non é la sola. Tanti tipi d'oppressione, una sola grande liberazione: quella degli ultimi che si organizzano, quella che viene dal basso. Questa é la grande lezione che riporteranno a casa.

Poi un giorno all'improvviso, come cambia il vento all'improvviso, come si leva il popolo all'improvviso. Cosí, all'improvviso, arriva il racconto di quella che fu la rivoluzione sandinista, della Nicaragua liberata, della tenace difesa dall'infame attacco statunitense. Di come il governo rivoluzionario fece accedere tutta la popolazione alla salute e all'educazione; soprattutto, di come dopo il trionfo sandinista non esistevano più ragazzi di strada e di come la ripresa dell'economia neoliberale li ha fatti comparire di nuovo insieme alla miseria e la mancanza di scuole e di ospedali.

Nella regione delle Segovie s'incontravano, in un angolo d'Estelí, giovani che hanno fatto la Storia credendo nel futuro, con altri giovani,quasi coetanei, derubati della Storia e del futuro, gettati sul ciglio del marciapiede. Si mescolano le idee alle parole, i pensieri ai vissuti, allora capisci che la speranza non è una menzogna, che la lotta non è un inutile sintomo del passato, che la Storia non è finita.

Sembra di essere lí, tra le pallottole e le bandiere rosse e nere sandiniste di un popolo che prese la sua decisione. Quando si arriva tanto vicini alla Storia, quella letta sui libri, vista nei reportage televisivi; quella Storia a cui in qualche modo ti senti incondizionatamente legato come da uno spirito d'empatia, senti la sedia tremare sotto il sedere: vorresti essere stato lí. Senti che i morti, tutti i loro morti, come per uno strana alchimia di sentimenti, diventano anche i tuoi e che la Storia, quella dei dimenticati, ovunque nel tempo e nei continenti é solo e sempre una: quella degli oppressi che si liberano.

Lo sentono i ragazzi e le ragazzi che furono o che sono della strada, che si sono o si vogliono riappropiare della storia, quella normale, quella di tutti i giorni, la loro storia personale. Decidere della loro vita per essere ció che vogliono.

Nella mattina assolata, con il vento che porta la brezza del lago, Managua, sommessa nella sua quotidianitá coperta dal profumo di cacao e caffé, ci saluta con accento popolare. É un arrivederci che sembra ripetere: " La Storia non é finita". 

Emanuele Tacchia, volontario di strada