14 luglio 2015

 

In memoria di Giovanni Franzoni

 

“Leonardo!” pronunciava il mio nome con un tono di piacevole sorpresa quando, ormai già praticamente cieco, riconoscendo la mia voce avvertiva la mia presenza nelle rare occasioni in cui, trovandomi di nuovo a Roma, mi recavo alla celebrazione della Comunità di Base di S. Paolo…

Poi, subito dopo, sempre immancabilmente la domanda: “…e Cristina?”.

Era stato lui, il 14 novembre del 1970 a celebrare il nostro matrimonio.

Se qualcuno gli citava il mio nome amava rispondere: “Leonardo? Lo conosco a memoria”.

La nostra conoscenza risaliva al 1964, ai primissimi momenti della sua nomina ad Abate della Comunità Benedettina di S. Paolo.

Ero allora uno dei capi del gruppo scout Roma 3 che aveva sede nei locali del monastero.

Era in corso il Concilio: lui, convocato come giovanissimo vescovo, cominciò a prendervi parte con entusiasmo e volle presto coinvolgere i responsabili delle varie organizzazioni cattoliche che ruotavano intorno alla Basilica nel processo di ristrutturazione della celebrazione eucaristica domenicale.

Potemmo così apprendere direttamente dalla sua voce lo sviluppo delle discussioni sui vari temi all’esame dei padri conciliari.

Erano quelli anche gli anni della contestazione giovanile che sfociò a breve nel movimento del ’68. 

Fu così che, riuniti in settimana per riflettere sulle letture previste dal calendario liturgico e stimolati a contestualizzarle con i fatti del momento, imparammo a conoscerlo e a conoscerci più profondamente tra giovani che fino a quel momento, vissuti nella stessa grande casa, erano rimasti chiusi all’interno delle proprie realtà associative.

Erano gli anni della contestazione giovanile che sfociò a breve nel movimento del ’68 ed io ero studente di medicina presso l’Università cattolica del S. Cuore. 

In una delle prime di queste occasioni verso la fine della riunione mi disse: “Leonardo, prepara tre brevi riflessioni sulla tolleranza sotto forma di invocazioni di preghiera”. Poi, senza alcun altro preambolo, mi annunciò: “domenica a messa, dopo le letture e la predica, ti chiamerò a leggerle all’ambone.”. 

Fu così che, almeno per quanto riguarda la realtà della Basilica di San Paolo, mi trovai ad essere il primo laico a pronunciare con parole proprie quella che sarebbe poi diventata ufficialmente l’invocazione dei fedeli.

A me è mancato un fratello maggiore ed un amico.

A tutti noi un profeta, condannato, come tutti i profeti ad essere voce di pro-vocazione colta in vita da pochi.

 

Leonardo Lucarini.